Cosa sono i lavori brevi? Sono i nostri lavori, risponderebbero 8 giovani lavoratori su 10. E avrebbero ragione. Ma che lavori sono? Come vedremo ce ne sono di tutti i tipi e potremmo dire per tutti i gusti se di gusti si potesse parlare e di libere scelte sul lavoro.
A definire e identificare il campo in termini scientifici e ufficiali ha provveduto l’Istat che ha dedicato ai rapporti di lavoro brevi un intero capitolo del suo primo Rapporto sul mercato del lavoro. Un’iniziativa pregevole, quella di un rapporto monografico sul più importante e grave problema nazionale nel quale l’istituto nazionale di statistica si è fatto fa promotore e protagonista della integrazione di tutte le fonti ufficiali di dati sul mercato del lavoro.
Per la loro identificazione l’Istat si è basata su diversi ma rigorosi criteri. Sono rapporti brevi (RB) tutti i rapporti di lavoro dipendente e in somministrazione di durata inferiore a tre mesi, tutti i rapporti di lavoro intermittente e di lavoro accessorio, tutti i rapporti al di sotto di 5 mila euro di reddito per ciascun rapporto collaboratore committente o di 5 mila euro complessivi nel corso dell’anno per i professionisti assicurati alla Gestione Separata INPS (partite IVA). Restano fuori dal campo trattato dall’Istat i RB relativi ai contratti a termine nel settore pubblico così come i tirocini, in quanto non costituiscono formalmente un rapporto di lavoro, ed infine il lavoro autonomo occasionale. Ciò nonostante si può dire che viene trattata e presentata la schiacciante maggioranza dei rapporti di lavoro brevi.
In totale i RB interessano nel 2016 poco meno di 4 milioni di persone (3.965.977) e crescono ad un ritmo molto più alto della crescita complessiva dell’occupazione che conta 22.757.838 unità nel 2016. Fatti uguale a 100 i valori del 2012 nel 2016 le persone con RB mostrano un indice di variazione pari a 108,2 mentre per il totale degli occupati il valore è di 101,2.
Ancor più dei lavoratori crescono i datori di lavoro che utilizzano RB, 1.076.238 nel 2016, ben il 32% in più del 2012 quando se ne contavano “appena” 814.385. Sembrerebbe dunque che l’attrazione verso questo tipo di rapporti di lavoro stia crescendo considerevolmente nonostante gli interventi di dissuasione e le spinte ad assumere con contratti più stabili adottati negli ultimi anni dal Governo.
E la convenienza, infatti è rilevante. Sebbene il numero delle persone con RB rappresenti il 17,4% degli occupati (nel 2012 costituivano il 13,6%) l’ammontare dei loro redditi costituisce solo il 3,6% del totale dei corrispondenti redditi di tutti gli occupati e questo valore cresce in misura molto più limitata della percentuale di persone interessate, considerato che nel 2012 era pari al 3%.
La composizione dei RB per tipo di rapporto mostra che il primato nel 2016 è a pari merito dei voucher e del lavoro dipendente a tempo determinato, rispettivamente con 1.770.554 e 1.770.313 lavoratori interessati. Seguono i lavoratori con contratto di somministrazione a tempo determinato con 485.581 unità, i lavoratori intermittenti, anche detti “a chiamata”, che sono 295.411, i collaboratori 172.738 e i professionisti 102.474. Sarà molto interessante esaminare uno per volta questi atipici rapporti di lavoro che sembrano destinati a dominare lo scenario delle assunzioni nel nostro mercato del lavoro.